Unioncamere del Veneto: la sfida dell’attrazione del capitale umano per la competitività
Intervento di Antonio Santocono, presidente Unioncamere del Veneto
Il sistema produttivo veneto tiene ma resta fragile. La manifattura rallenta, il lavoro cala e il mismatch cresce. Per attrarre e trattenere talenti servono politiche integrate, università internazionali e una nuova narrazione del territorio come luogo di crescita e innovazione
Nelle fabbriche della manifattura del Nordest la produzione è in una fase di stallo che dura ormai da quasi due anni. Il ritmo di utilizzo degli impianti rallenta, aumenta il ricorso agli ammortizzatori sociali e anche i report occupazionali confermano segnali di frenata rispetto allo scorso anno. A pesare è una combinazione di fattori strutturali e ciclici: tensioni internazionali, domanda in affanno e fragilità specifiche nei comparti più esposti. Intanto peggiora il sentiment degli imprenditori e sembra prevalere un atteggiamento attendista, che rinvia le decisioni di espansione e si concentra sul consolidamento.
Una cautela, questa, che potrebbe riflettersi anche sulle strategie di investimento e occupazionali, minate da incertezze globali e crisi di settore. Oggi, quello del Veneto è un sistema produttivo che tiene ma resta fragile e fatica a crescere ed evolvere. Un territorio che resta tra i più dinamici d’Europa, con oltre 80 miliardi di euro di export nel 2024, circa il 13% del totale nazionale, e una tradizione imprenditoriale che ha fatto scuola nel mondo, ma che è segnato da una crescita fragile e da un’incertezza che pesa sia sulle aziende che sui lavoratori.
L’occupazione rallenta e cresce il mismatch
A settembre le assunzioni programmate da parte delle aziende venete, con contratto superiore ad un mese o a tempo indeterminato, sono state oltre 51 mila, più di 130 mila nel nord Est e complessivamente circa 569 mila in Italia. Il dato regionale è leggermente inferiore rispetto a un anno fa, con circa 2 mila assunzioni in meno. Anche le previsioni per il trimestre settembre-novembre evidenziano un calo, con quasi 4 mila unità in meno rispetto allo stesso periodo del 2024. Il comparto dei servizi registra un calo di poco più di 2 mila assunzioni, l’industria perde quasi 1.300 ingressi e il settore primario – agricoltura, silvicoltura, caccia e pesca – circa 600. Nel 77% dei casi i nuovi ingressi saranno con contratti a termine, mentre solo nel 23% si tratterà di rapporti stabili (tempo indeterminato o apprendistato). Il fabbisogno di personale si concentra soprattutto nelle imprese con meno di 50 addetti. Il 13% dei nuovi assunti dovrà essere laureato, il 40% diplomato o con qualifica professionale e al 58% è richiesta un’esperienza specifica. Un’assunzione su tre riguarda giovani fino a 30 anni, ma una su due interessa profili di difficile reperimento.
È questo il quadro delineato dal Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, che elabora mensilmente le previsioni occupazionali delle imprese italiane. Uno scenario che solleva una riflessione urgente: il Veneto non attrae abbastanza capitale umano qualificato.
Il limite del “piccolo è bello”
Il tessuto economico regionale, pur solido e diffuso, resta frammentato. Poche grandi aziende e molte PMI attive in settori tradizionali, investimenti ancora insufficienti in ricerca e sviluppo e una produttività media inferiore alla media europea rendono difficile competere sui salari e sulle carriere. Il modello del “piccolo è bello”, che ha alimentato il successo del Veneto industriale, mostra oggi i suoi limiti di fronte ai nuovi equilibri globali: filiere che si spostano, mercati che cambiano, rivoluzioni tecnologiche e transizione verso modelli digitali e sostenibili.
Così, diventa difficile attrarre talenti internazionali e trattenere quelli locali. Non mancano solo i “cervelli in fuga”: anche i ricercatori e i professionisti stranieri arrivano in numero ridotto e, spesso, non restano. Ogni anno dall’Italia parte una quota di ricercatori simile a quella di Francia o Svezia, ma il saldo è negativo perché pochi scelgono di trasferirsi da noi. Le ragioni sono note: visti lenti, burocrazia complessa, carenza di servizi abitativi e culturali, università sottofinanziate e imprese troppo piccole per offrire percorsi di carriera competitivi.
Cambiare la narrazione e rilanciare la competitività
Per invertire la rotta serve rilanciare la competitività e, soprattutto, cambiare la narrazione del territorio, offrendo opportunità concrete alle nuove generazioni. Bisogna ascoltare i giovani e adattarsi alle loro aspettative, come hanno fatto alcune Camere di Commercio venete con la Talent Week e il progetto Driving Innovation for Veneto Economy, scuola d’impresa e acceleratore diffuso per attrarre talenti in regione.
Occorre valorizzare ciò che rende il Veneto attrattivo per chi arriva e per chi vuole tornare:
- la connessione tra formazione, imprese, istituzioni e mondo associativo;
- un tessuto industriale sostenuto da distretti ad alta specializzazione;
- infrastrutture e mobilità efficiente;
- qualità della vita e patrimonio culturale.
È necessario creare una massa critica di lavoro qualificato, promuovere acceleratori, reti pubblico-private e imprese “plug-in”: realtà tecnologiche capaci di iniettare innovazione in filiere mature, radicate nei distretti e in grado di attrarre capitale umano qualificato.
Università internazionali e rete veneta globale
Le università vanno sostenute con fondi adeguati e corsi in inglese, per attrarre dottorandi e ricercatori internazionali, con programmi di rientro mirato per studenti e ricercatori italiani all’estero con fellowship, contratti ponte e incentivi fiscali che facilitino l’inserimento in imprese innovative, centri di ricerca e università regionali. Va creata una rete veneta globale, capace di connettere competenze, contatti e percorsi professionali, valorizzando chi rientra dopo esperienze in grandi hub internazionali e portando capitale umano e relazioni globali nei distretti del territorio. Le città devono offrire alloggi accessibili, trasporti efficienti, vita culturale vivace e procedure snelle per l’ingresso e i visti.
Unioncamere come catalizzatore di innovazione
Le relazioni tra territorio, università e imprese sono da sempre una tradizione veneta e vanno rafforzate. In questo scenario, Unioncamere del Veneto può esercitare un ruolo strategico come catalizzatore di nuova imprenditorialità, connettore tra istituzioni e categorie economiche, ponte diplomatico e istituzionale capace di dialogare con i livelli nazionali ed europei per sostenere il tessuto produttivo. Un esempio concreto è il progetto
PID Veneto – Punti Impresa Digitale, promosso dal Sistema Camerale Veneto in collaborazione con università e attori dell’innovazione regionale. Attraverso sportelli informativi e formativi, voucher digitali, progetti di trasferimento tecnologico e collaborazioni con centri di ricerca, il progetto ha contribuito alla nascita di veri e propri ecosistemi territoriali dell’innovazione,
dove il sapere accademico dialoga con i bisogni concreti delle imprese. La chiave di successo è trattenere chi già guarda con interesse al nostro territorio, offrendo un ventaglio di opportunità così ampio da trattenere chi vi transita, trasformandolo in spazio da vivere, crescere e costruire. È un progetto che unisce politiche sociali, università, imprese e governance territoriale: impegnativo, ma decisivo per il futuro della nostra economia e delle nostre comunità.




