Giovani e impresa

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Giovani Imprenditori di Confindustria Veneto Est -giovani e impresa: il veneto che cambia parte dal territorio

Per Marco Rossi, Vicepresidente GGI Confindustria Veneto Est Delegato al Territorio di Rovigo, la chiave per costruire il futuro economico della regione è trovare un equilibrio tra radicamento e innovazione, superando la burocrazia e riscoprendo l’ottimismo come motore d’impresa

 C’è una nuova generazione di imprenditori che vuole riscrivere il modo di fare impresa con la consapevolezza che innovazione e tradizione possano convivere. Marco Rossi, Vicepresidente GGI Confindustria Veneto Est Delegato al Territorio di Rovigo, incarna lo spirito di un Veneto produttivo ma in evoluzione, dove la capacità di innovare si unisce a un forte radicamento nel territorio. La sua visione riflette un approccio pragmatico e aperto al cambiamento, orientato a costruire un futuro sostenibile per l’economia regionale.

Marco Rossi, quali sono oggi, secondo lei, le caratteristiche che definiscono un giovane imprenditore veneto?

Marco Rossi

«Credo che lo stimolo all’innovazione debba essere il tratto distintivo di ogni giovane imprenditore veneto. Ma innovare, per me, significa anche aprirsi verso l’esterno. Lo ripeto spesso ai colleghi: dobbiamo imparare a essere un po’ “strabici”, cioè tenere un occhio sul business quotidiano,

sui problemi e sulle dinamiche aziendali, ma anche un altro oltre i cancelli delle nostre imprese. Vedo ancora una certa carenza di partecipazione a conferenze, eventi o momenti associativi, soprattutto fuori dal Veneto. Oltre al ruolo in Confindustria, rappresento anche AIDAF, l’Associazione Italiana delle Aziende Familiari, e noto che fatichiamo a portare i giovani veneti a confrontarsi con esperienze e contenuti diversi da quelli a cui sono abituati. L’apertura e la curiosità, invece, sono essenziali per crescere come imprenditori».

Rovigo è spesso considerata una provincia “di confine” tra Veneto ed Emilia-Romagna: quanto conta questa posizione per il suo tessuto economico e quali opportunità può offrire?

«Rovigo è, per certi versi, un’isola felice. Questo comporta vantaggi e svantaggi: da un lato siamo un punto di incontro tra le realtà industriali venete ed emiliane, dall’altro facciamo ancora fatica ad attrarre talenti. Un esempio concreto: collaboriamo con la Fondazione CUOA Business School da oltre trent’anni, ma non siamo mai riusciti a portare un laureato da Altavilla fino a Rovigo. Allo stesso tempo, però, chi si inserisce bene in un’azienda del territorio tende a restare: non c’è quella concorrenza interna che si avverte a Verona, Vicenza o Milano. Il territorio deve però trovare una propria identità, e credo che la logistica possa essere uno dei pilastri su cui costruirla. Negli ultimi anni si è investito in questa direzione e qualcosa si sta muovendo. Serve però un intervento strutturale più forte sulle infrastrutture: solo così potremo dare slancio e attrattività al territorio. Spesso gli investimenti si bloccano per motivi burocratici; servirebbe maggiore lungimiranza e la capacità di guardare oltre la burocrazia per favorire chi vuole creare valore qui».

In che modo le imprese stanno affrontando le sfide legate alla transizione digitale ed ecologica?

«Sono due transizioni diverse ma accomunate da un problema di fondo: spesso le aziende vi si approcciano in modo un po’ “automatico”, senza comprenderne davvero il senso. Sul fronte digitale, vedo molte imprese che digitalizzano processi senza prima ripensarli. Ma la rivoluzione digitale deve partire proprio da lì: dall’efficientamento e dalla riorganizzazione del modello, prima ancora dell’automazione. Nel mio settore, la metalmeccanica, automatizzo solo quando il processo è già ottimizzato. La stessa logica va applicata agli uffici e ai processi gestionali: la digitalizzazione deve servire a migliorare l’esperienza delle persone, liberandole da compiti ripetitivi per concentrarsi su attività a maggiore valore aggiunto. Per quanto riguarda la sostenibilità, purtroppo spesso diventa un esercizio di comunicazione. Noi abbiamo iniziato a redigere il report di sostenibilità per uso interno, per capire dove potevamo realmente migliorare. Se lo si fa solo per immagine, perde senso. I report dovrebbero contenere dati concreti e visione strategica, non solo buone intenzioni».

Qual è il principale ostacolo che i giovani incontrano nel fare impresa in Veneto?

«Credo che il primo ostacolo sia culturale: ci manca un po’ di positività. Io mi sono avvicinato al mondo dell’impresa nel 2009, nel pieno della crisi economica. Poi è arrivata quella del debito, poi altre ancora: siamo una generazione cresciuta con la parola “crisi” sulle spalle. Serve invece un clima di fiducia e ottimismo. Dobbiamo tornare a parlare del bello del fare impresa, far innamorare i giovani di questo mestiere, soprattutto in una terra come il Veneto,

che ha nel manifatturiero la sua vocazione naturale. Dobbiamo valorizzare ciò che abbiamo, le nostre eccellenze, senza inseguire modelli irrealistici. E, naturalmente, serve una semplificazione burocratica. Oggi il vero limite per chi vuole avviare un’impresa non è tecnologico, ma burocratico. Snellire le procedure sarebbe un grande incentivo per i nuovi imprenditori».

Se dovesse “disegnare” il futuro del Veneto imprenditoriale, quali tratti fondamentali metterebbe sulla mappa?

«Disegnerei un Veneto che conserva l’amore per il prodotto e per il “fare”, la voglia di creare valore a partire dalle proprie radici. È una terra che, partendo da poco, ha saputo costruire moltissimo. Poi metterei la capacità di guardare lontano: oltre i confini delle fabbriche, ma anche verso il domani. A volte vedo giovani con idee molto ambiziose, ma poco coerenti con la realtà locale. È giusto ispirarsi ai modelli internazionali – come quello americano della scalabilità e dell’apertura del capitale – ma dobbiamo restare con i piedi per terra. Un’impresa deve avere una visione a lungo termine, ma anche un cliente pronto a riconoscerne il valore domani mattina. Il futuro del Veneto, secondo me, sta proprio in questo equilibrio tra sogno e concretezza».

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Immagine di Simona Savoldi
Simona Savoldi

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