Next4 rafforza il ponte tra innovazione veneta e capitali, aiutando le imprese a comunicare il proprio valore ai mercati
Visione strategica e innovazione al servizio delle imprese: Davide D’Arcangelo, Presidente Next4 Group e Innovation Policy Maker, analizza le dinamiche che rendono il Veneto uno dei motori dell’economia italiana
Tra le regioni più dinamiche del Paese, il Veneto continua a distinguersi per la capacità di coniugare tradizione industriale, ricerca e apertura all’innovazione. Ma dietro la solidità del suo tessuto produttivo si nasconde una sfida ancora aperta: trasformare il valore delle imprese in un linguaggio comprensibile per i mercati. Da questa esigenza nasce la figura dell’Investor Business Relator (IBR), nuovo strumento per favorire il dialogo tra impresa e finanza.
Il Veneto è uno dei motori dell’innovazione italiana. Quali dinamiche alimentano oggi questa vocazione e come si traduce in termini di attrattività e crescita?
«Il Veneto oggi è un vero laboratorio d’innovazione, capace di unire radici produttive solide, spinta tecnologica e una collaborazione pubblico–privata sempre più matura. È la terza regione italiana per export, con quasi 380 mila imprese attive e una cultura industriale che innova per necessità, non per moda. Le start up, ormai oltre 700, raccontano un ecosistema vivace dove manifattura e digitale si contaminano, grazie anche a realtà come H-FARM e ai programmi regionali su agritech, greentech e healthtech». Nel 2024 il Veneto ha registrato 651 domande di brevetto europeo, confermandosi tra le regioni più dinamiche sul fronte dell’innovazione e l’Università di Padova e il competence center SMACT rafforzano il ponte tra ricerca e impresa. La forza del Veneto sta nel saper coniugare tradizione e visione, trasformando la sua cultura produttiva in innovazione concreta e attrattiva per capitali e talenti».

Quali sono invece le principali sfide che le PMI e i distretti veneti si trovano ad affrontare per restare competitivi?
«La grande sfida oggi è restare eccellenti in un mercato che non premia più solo la qualità del prodotto, ma la capacità di innovare in modo connesso e sostenibile. Il Veneto ha costruito la sua forza su filiere solide e relazioni di prossimità, basti pensare ai 17 distretti industriali riconosciuti dalla Regione, ma la competizione globale impone un salto: passare dal “fare bene” al “fare sistema”.
Le imprese devono affrontare tre transizioni intrecciate: digitale, sostenibile e finanziaria. La digitalizzazione non è più solo efficienza o automazione, ma il motore che abilita nuovi modelli produttivi, riduce sprechi, valorizza i dati e genera impatti positivi su ambiente e comunità, amplificando il valore sociale e territoriale dell’impresa.
E poi c’è la finanza: molte PMI venete hanno basi industriali solide, ma faticano a dialogare con gli investitori e a comunicare il proprio potenziale. L’Investor Business Relator nasce proprio per questo: aiutare le imprese a tradurre innovazione e impatto in un linguaggio leggibile per i mercati.
Serve una svolta culturale: aprirsi all’open innovation, collaborare con start up, università e centri tecnologici. La competitività del Veneto passerà dalla capacità di trasformare la tradizione in un ecosistema aperto, dove competenze, capitale e impatto si alimentano a vicenda».
Quale ruolo può avere l’IBR per un territorio come il Veneto?
«L’Investor Business Relator nasce da una constatazione molto semplice: in Italia, e in Veneto in particolare, ci sono tantissime imprese eccellenti, ma poche davvero “leggibili” per il mercato dei capitali. È come se avessimo un patrimonio industriale straordinario, ma con un linguaggio che gli investitori spesso non comprendono. L’IBR nasce per colmare proprio questo gap, facendo da ponte tra impresa e finanza, tra il “saper fare” tipico delle nostre PMI e il “saper raccontare” che serve per attrarre investimenti.
Qui ci sono centinaia di PMI solide, spesso leader di nicchia – penso per esempio alle PMI del distretto meccanico di Vicenza o a quelle dell’agroalimentare veronese – che hanno già tutti i fondamentali per crescere, ma non sempre gli strumenti per presentarsi a fondi, banche o mercati regolamentati. L’IBR può accompagnarle in un percorso di investment readiness, aiutandole a strutturare piani, dati e indicatori, insieme a strategie di comunicazione economico-finanziaria. Le aiuta a diventare “comprensibili” e credibili per il mondo degli investitori».
In che modo l’IBR può aiutare le PMI a diventare più “investibili” e ad attrarre capitali, anche internazionali?
«L’Investor Business Relator traduce l’impresa nel linguaggio della finanza, senza snaturarne l’identità. È una figura che accompagna l’imprenditore in un percorso di consapevolezza e struttura: aiuta a mettere in ordine i numeri, a definire obiettivi chiari, a costruire una narrazione coerente tra visione, risultati e impatto. In sostanza, rende leggibile ciò che spesso resta implicito: la solidità, la capacità di innovare, il valore umano e territoriale che c’è dietro ogni azienda.
In un mercato dove la finanza guarda sempre più a modelli sostenibili e trasparenti, l’IBR supporta le PMI nel raccogliere e comunicare i dati che contano, aiutandole a posizionarsi in modo credibile davanti a fondi, investitori e istituzioni».
Quanto conta oggi saper costruire un racconto finanziario efficace, e quali errori le imprese commettono più spesso nel comunicarsi ai mercati?
«Conta moltissimo. Saper costruire un racconto finanziario efficace significa dare forma e coerenza a ciò che un’impresa è e a dove vuole andare. Il mercato non compra solo numeri, compra visione, credibilità e capacità di esecuzione.
Il primo errore è pensare che i risultati parlino da soli. Non è più così. I mercati vogliono capire come l’impresa crea valore, quali sono i suoi asset intangibili, la qualità della governance, l’impatto sociale e ambientale del suo operare. Un altro errore frequente è comunicare a compartimenti stagni: marketing da una parte, finanza dall’altra, sostenibilità come voce separata. Oggi serve un racconto integrato in cui numeri, impatto e identità d’impresa si tengono insieme e si rafforzano a vicenda. E qui l’Investor Business Relator diventa fondamentale aiutando le imprese a costruire un linguaggio finanziario comprensibile, coerente e autentico».
Quali settori del Veneto possono beneficiare di più da questa figura?
«Tutti, ma in modo diverso. Per le PMI tradizionali, cuore dei distretti veneti, dalla meccanica di Vicenza al fashion di Treviso, fino all’agroalimentare veronese, l’IBR aiuta a tradurre la solidità produttiva in progettualità finanziaria, favorendo l’accesso a capitali e strumenti di crescita. Nelle imprese familiari (oltre il 70% delle aziende regionali) l’IBR accompagna la transizione generazionale e la ridefinizione della governance, aiutando a conciliare radici e visione strategica. Per le start up deep tech e innovative il valore è diverso: l’IBR connette tecnologia e mercato, supporta la costruzione del business plan e facilita il dialogo con investitori e corporate».
Guardando al futuro, quale direzione dovrebbe prendere il Veneto per rafforzare la propria attrattività economica e quale ruolo può avere l’IBR in questo percorso di crescita?
«Il Veneto deve continuare a fare ciò che sa fare meglio: trasformare la competenza in sistema. La sua attrattività
economica non dipende solo dai numeri, ma dalla capacità di evolvere come ecosistema aperto, dove imprese, ricerca e finanza lavorano insieme.
La direzione è chiara, investire su digitalizzazione, sostenibilità e capitale umano, ma in modo integrato. Servono filiere che sappiano innovare con le tecnologie abilitanti, valorizzare il territorio con modelli produttivi sostenibili e attrarre talenti grazie a un ambiente competitivo ma inclusivo. Le università venete, i competence center e i grandi hub dell’innovazione, da Padova a Roncade, sono già pilastri di questa trasformazione.
In questo contesto, l’Investor Business Relator può diventare la figura che rende tutto questo leggibile e finanziabile, è l’anello mancante tra innovazione e capitale, tra strategia e mercato. La sfida non è solo crescere, ma diventare un territorio dove l’innovazione trova capitali e i capitali trovano visione».




